TESTO DI GIOVANNI CARANDENTE


Mostra 1961 Galleria l’88 – Via Margutta - Roma


La fucina vitalissima di Spoleto riattizza il fuoco con virgulti freschi: e questi, naturalmente, frignano per mostrareoltre che l’acerbità intemperante anche l’allegrezza giovanile del loro modo di essere. Spoleto, per tante vie e per tanti settori dello spirito centro di civiltà, punto d’incontro fra una tradizione che non pesa e un rinnovamento che non stupisce, alimenta le sue leve culturali traendole dal seno stesso della sua matrice.
E’ il caso del pittore Bronchi, attivo già da qualche anno nel chiuso del suo ambiente e ora esordiente sul piano più ampio, e con opere che hanno già un loro profilo e una costituita tematica, il quale si aggiunge alla schiera di artisti ormai illustri come Leoncillo, Raspi e de Gregorio e a temporanei transfughi come Marignoli e Toscano che pure dettero le loro prove di qualità.
La pittura di Bronchi, specie con le opere più recenti di quest’anno si situa nel percorso di Raspi: un’alternativa tenace e profonda tra il mondo della realtà e l’autonomia della forma, un’eco sopita di irrequietudini surrealiste e l’analisi lucida di certe situazioni fantastiche, ma giustappunte quanto a registro cromatico, una soluzione di continuità tra la materia e l’immagine, perché la prima non prevarichi la seconda.
Dopo un cammino incerto tra impaginazioni istintive di grumose pezzature di colore-materia, e dopo un tributo alla fantomatica probabilità di uno spettro formale, aereo, vagante nello spazio rotto in profondità dai balenii di una luce colore, Bronchi ora costituisce il quadro secondo una più razionale necessità. Lo spazio, attraversato da ariosi filamenti, da trasparenze leggere, da accensioni sotterranee di fonti luminose – aspetti di un linguaggio tipicamente italiano che ha in Afro il suo capostipite e maestro - appare in questi dipinti ultimi, più attentamente scavato e macerato. Zonature piatte di materia lo avvicinano, quasi per spegnere il senso illimitato dell’orizzonte. Veloci colpi di colore lo vivificano, scandendone le pause, quasi per ricomporre una intelaiatura. Bronchi, che non ha dietro di sé le ascendenze post-cubista di Raspi, risolve questo problema costruttivo in una maniera elementare. Anch’egli alterna conoscenze reali e un’interna visione del mondo, che appare come alimentato da una nuova casistica.
La realtà è una ma si compone di tante realtà ed ognuna di esse nasce. Vive e muore nell’altra. Così la realtà di questi dipinti di Bronchi, affondano non già nell’esistenza o nell’urgere di sentimenti angosciosi, ma nella sua più indipendente costituzione formale, presenta uno schema semplice, fruttuoso di possibilità d’espansione, ma sempre vigilato. Questo controllo d’immagine è la dote precipua del giovanissimo pittore; se da un lato l’atmosfera in cui egli vive,così stimolante e protettiva, ha potuto fornirgli dati culturali ineccepibili sia per attualità che per giustezza di indirizzo, dall’altro egli ha saputo cogliere, in questo suo primo ed acerbo protendersi sulla posizione d’artista impegnato, dal suo stesso atteggiamento umano, ricco d’estri e di spigliate ambizioni, una fecondità creativa che, già al primo apparire, promette una fiorente stagione.